Aldo Ferrari
intervistato da Massimo Rolandi

Cominciamo con la domanda di rito per tutti gli ospiti non armeni: come è accaduto che, nel corso del Suo percorso personale, ha cominciato a interessarsi alla cultura armena?
Sono stati due gli eventi che mi hanno avvicinato all’Armenia e alla sua cultura. Il primo fu la scoperta, nella biblioteca di famiglia, del volume I quaranta giorni del Mussa Dagh, di Franz Werfel, romanzo da cui rimasi affascinato. Penso che l’autore, al di là del suo grande talento narrativo, dimostri un’ottima comprensione delle dinamiche che operavano nei rapporti fra le varie popolazioni. Credo che Werfel abbia in qualche modo proiettato il proprio appartenere a una minoranza (era un ebreo suddito dell’Impero Asburgico) sul popolo di cui narrava le vicende (gli armeni sudditi dell’Impero Ottomano). Il secondo evento risale a quando ero studente di russo a Venezia: mi capitò di visitare una mostra fotografica sull’architettura armena. Ne rimasi folgorato, e lo sono tuttora.

Quali sono, a Venezia, le tracce armene più antiche? Come si sono poi aggiunte e stratificate nei secoli?
Le tracce più antiche risalgono all’Alto Medioevo, e precisamente al VII secolo: il nome dell’esarca bizantino di origine armena Isacio (o Isacco) è infatti inscritto nella fondazione della basilica di Torcello. A partire dal XII secolo, soprattutto fra Venezia e il regno di Cilicia, divennero più profondi e stabili i rapporti di tipo commerciale, culturale e religioso. Infatti, se da un lato alcune famiglie armene raggiunsero posizioni di prestigio (come gli Sceriman), dall’altro oggi vi sono tutta una serie di luoghi che possono costituire un vero e proprio itinerario attraverso la Venezia armena, come il sito della chiesa di Santa Croce (nei pressi di San Marco) o il Collegio Armeno, dove per un secolo e mezzo andarono a studiare molti figli dell’élite armena (e che ospitò numerosi scampati al genocidio). Vi è poi, ovviamente, l’isola di S. Lazzaro, un vero e proprio angolo d’Armenia a Venezia: non è un caso se Mechitar venne proprio a Venezia a fondare l’ordine che da lui prende nome. Come non era stato un caso se il primo libro armeno a stampa (il Libro del venerdì) aveva visto la luce, nel 1512, proprio a Venezia: questa fu per secoli, per gli armeni, il primo e principale porto dell’Europa.
Marco Polo, nei capitoli XIX e XXI del Milione, descrisse le due “Arminie”, la piccola (ovvero il regno di Cilicia) e la grande. Quanto è accurato dal punto di vista storico il quadro da lui tracciato? Cosa si può dire, più in generale, sugli scambi culturali avvenuti nei secoli fra Venezia e l’Armenia?
Il quadro fornito da Marco Polo è sostanzialmente corretto. Questo vale sia per il regno di Cilicia, frequentato da mercanti genovesi e veneziani, sia per l’Armenia Maggiore, nella descrizione della quale colpisce soprattutto la frase “Ancor vi dico che in questa Grande Erminia è l’arca d[i] Noè in su una grande montagna”: questo mostra con chiarezza quanto già a quel tempo fosse chiara e, direi, scontata, l’identificazione fra la terra armena e la sua montagna simbolo, l’Ararat. Marco Polo ha visto correttamente anche la distinzione fra la popolazione armena autoctona, dedita all’agricoltura, e i “Tartari del Levante”, cioè le genti di ceppo altaico che in quella regione si limitavano a portare il bestiame al pascolo nella stagione estiva.
Come è nato a Venezia l’interesse per la lingua armena a livello scientifico/universitario? Come si è arrivati ad avere una cattedra di armenistica?
Quella di Venezia è stata la seconda cattedra dedicata alla lingua armena a nascere in Italia, dopo quella di Bologna. Nacque per interessamento del docente di iranistica Roberto Scarcia, che all’Armenia era molto interessato: fu questi a prendere contatti con Boghos Lévon Zékiyan (attuale arcieparca di Costantinopoli), che ha tenuto la cattedra fino a pochi anni fa. Posso affermare che la presenza della lingua armena all’università di Venezia ha contribuito a tenere vivi gli scambi culturali fra la città lagunare e il mondo armeno: per esempio quest’anno ha preso per la prima volta le mosse, su iniziativa condivisa di Ca’ Foscari e del Comune, un ciclo di incontri di ricordo e approfondimento sul Métz Yeghern: https://www.comune.venezia.it/sites/comune.venezia.it/files/cultura/PIEGHEVOLE_ARMENI_A4.jpg