Yenelina Arakelyan
intervistata da Massimo Rolandi

La musica armena, come del resto la cultura armena in generale, è senz’altro conosciuta in Europa molto meno di quanto il suo reale valore meriterebbe. Trovi che la musica armena sia sottovalutata? Quali compositori dovrebbero essere assolutamente noti agli appassionati di musica classica?
La musica armena è una musica luminosamente orientata al ‘divino’, non tanto e non solo in termini di consapevole e programmatica intenzionalità – che pure è presente sul piano della sensibilità e coscienza nazionale –, quanto piuttosto per una sorta di connaturale attrazione gravitazionale che la solleva, nelle sue più ataviche, selvagge e viscerali vesti ancora intessute di fronde, pietre, zolle argillose e radici, fin verso le alture dello Spirito, quasi che i canti responsoriali e alleluiatici di questo popolo in lode al suo Creatore – proprio perché popolo irrigato dal sangue della schiera e moltitudine dei suoi Martiri – siano come degli strumenti di ‘navigazione’ tra i mondi, terrestre e celeste.

Che gli ‘inni’ fossero dei ‘carri’, su cui uomini, semidei pagani e profeti cristiani venivano sollevati, quasi per rapimento, verso il cielo, quando ancora il mondo era dominato dalla Stimmung armonica, è d’altronde esplicitato negli studi antropologici, etnografici ed etnomusicologi, in particolare di Marius Schneider, o del linguista e filologo Leo Spitzer. L’Armenia, forse, è ancora parte di questa realtà. Almeno così amo figurarmela. È forse l’Armenia il regno favoloso in cui Armonia, anche per l’assonanza del suo nome, si è rifugiata, scalzata da nuove e più fredde divinità tecnico-scientifiche, tuttora incapaci, non solo di unificare il mondo in una Teoria del Tutto, così come invece fece egregiamente per millenni la bella figlia di Venere e Marte, ma neppure di preservarlo dagli eccessi consentiti dal suo paradigma conoscitivo che scarta ogni elemento qualitativo della conoscenza in favore di una sua mera ‘quantificazione’? Quantunque si possa rimuovere dal sentire comune la storia e la cultura musicale dell’Armenia, questa ‘corda’ sterminata, che si tende da un capo all’altro dello spaziotempo, da cui emergono i suoni di molte acque, oscure e luminose insieme, non può essere schermata da una barriera superficiale, tant’è che posso anch’io testimoniare (come altri connazionali), che ogni qualvolta si è occasionato il gioioso privilegio di interpretare qui in Europa della musica armena, il pubblico ne ha sempre riconosciuto, dall’interno della sua commossa partecipazione, il carattere visceralmente ‘struggente’.
Secondo me sarebbe auspicabile portare avanti una visione diversa, una visione più ampia e interessata verso la ricerca e la conoscenza delle culture orientali sconosciute, se non disconosciute, ivi compresa la cultura armena. Dico questo, perché se andiamo ad analizzare le armonie musicali dei più importanti compositori occidentali troviamo senz’altro quel forte legame e quella presenza degli elementi armonici che derivano dalla musica orientale: se non riconosciamo tali elementi di primo acchito, ciò dipende non tanto dalla loro assenza, quanto da una nostra lacunosa capacità di riconoscimento della sua continuità con la musica classica occidentale. I geni come Mozart, Beethoven, Verdi o Puccini (solo per citarne alcuni, ma si potrebbe procedere ad oltranza) avevano una profonda conoscenza delle musiche tradizionali dei popoli antichi, a cui si sono connessi per propagarne e svilupparne lo spirito, alimentando con esso il ricchissimo patrimonio musicale occidentale.
Fra i compositori armeni, ritengo che almeno alcuni fra loro debbano essere assolutamente noti. Incomincio con il citare Padre Komitas che, oltre che un compositore geniale, è il decodificatore della musica antica armena. Ha coltivato e sviluppato i diversi generi della musica come il genere popolare, il sacro, il classico. Egli ha dimostrato una cura particolare verso il genere dell’opera lirica. Lo dimostrano gli appunti musicali e le partiture delle opere “Vardan”, “Sasna tsrer”, “I danni della cortesia”, “Anush”. Purtroppo sono poco eseguite o alcune persino non eseguite.
Vorrei sollecitare un’attenzione particolare verso i compositori classici che – oltre al genere sinfonico, pianistico e della musica da camera – hanno operato anche nell’ambito della musica lirica, quali, in primis, Tigran Chukhajian, il compositore della prima opera lirica armena “ Arshak II”, composto nel 1868. Chukhajian (1837 – 1898), nato e vissuto in Armenia occidentale, quando faceva ancora parte dell’Impero Ottomano. È stato il fondatore della prima istituzione lirica nell’Impero Ottomano ed è considerato il primo compositore d’opera nella storia turca.
Ad esso accosto senz’altro anche il compositore Alexsander Spendiaryan, con la sua opera “Almast”, scelta per l’inaugurazione del Teatro Accademico Armeno dell’Opera e del Balletto nel 20 gennaio del 1933.
E poi come ignorare il grande Aram Khachaturian, ormai molto famoso in tutto il mondo e presente nel repertorio scolastico delle scuole di musica, e dei Conservatori in Italia.
Sono ancora molti i nomi di cui vorrei parlare ma non è possibile in una breve intervista.
Nella tua esperienza personale, sei cresciuta immersa nella tradizione del canto popolare armeno, o fin da subito in quella della lirica occidentale, o in entrambe? Quali analogie ci possono essere fra le due tradizioni?
La tradizione del canto popolare nelle famiglie armene ha una forte presenza. Sono stata immersa nell’atmosfera dei canti popolari attraverso la calda e familiare mediazione dei miei carissimi nonni, i quali, pur non essendo dei cantanti professionisti, avevano notevoli e brillanti capacità vocali naturali. Mi ricordo i loro canti influenti che mi trascinavano dentro la musica e dopo un po’ mi trovavo trascinata “nel mezzo di uno spettacolo”. Uno spettacolo vero dove ognuno recitava la sua parte. In alcuni casi, in forma dialogica, di domande e risposte cantate, similmente ai recitativi cantati nelle opere occidentali, e qui come carattere proprio della musica tradizionale armena. Peraltro, anche mio padre era un fervido ammiratore della musica occidentale, sia classica sia lirica. Era un pittore con una formazione professionale occidentale, laureato all’Accademia di belle arti di San Pietroburgo. Aveva innumerevoli dischi in vinile che ascoltavamo insieme con un riproduttore antico. È proprio lì che ho ascoltato per la prima volta la voce di Maria Callas, Franco Corelli, Tito Gobbi e tanti altri. Devo dire di essere stata molto influenzata da questa capacità sinestetica di mio padre, che era in grado di trasferire nelle sue tele la grande armonia della sua anima, spingendomi, di converso, a ritrovare questa via misteriosa che connette la bellezza visibile del cosmo nella via del canto.

Dal punto di vista religioso, il collante fondamentale è costituito dal senso del sacro. Questo può essere un legame puramente culturale in quanto in entrambi i casi derivano dalla cultura cristiana. L’arte musicale medievale armena apparteneva al genere sacro monodico. Nello stesso tempo avevamo musica armena tradizionale professionale. Invece la formazione della composizione orchestrale si è manifestata ed espressa in Armenia secondo i principi dell’arte compositiva occidentale agli inizi del XIX secolo dopodiché è stata localizzata e nazionalizzata da Padre Komitas. I primi compositori erano Tigran Chukhajian, Kriatapor Kara-Murza, Makar Yekmalyan etc…
Se invece guardiamo dal punto di vista dell’analogia culturale, come gli armeni così anche molti popoli europei hanno delle radici indoeuropee.
Quando è arrivata in Armenia la lirica di tradizione occidentale? Quali sono i compositori d’opera europei più noti e apprezzati?
Riguardo alla diffusione della lirica di tradizione occidentale su larga scala, possiamo rilevare come questa sia stata promossa e favorita dalla costruzione del teatro dell’opera di Yerevan nella prima metà del ‘900, dove gli spettatori hanno avuto possibilità di seguire le opere occidentali dal vivo. Ancora prima, l’opera lirica era disponibile tramite i dischi in vinile. Soprattutto nel territorio dell’Armenia occidentale, dove la componente più benestante della popolazione armena aveva la possibilità di un contatto diretto con le culture occidentali, attraverso la frequentazione delle università europee. Molti giovani studiosi, scienziati, medici e musicisti armeni studiavano nelle università europee e in un certo senso erano come gli ambasciatori e i realizzatori di uno scambio culturale occidentale ed armeno.
Soprattutto negli anni ’50, ’60, ’70 e ’80 del Novecento, il Teatro dell’Opera di Yerevan aveva al suo attivo la realizzazione di un vastissimo repertorio lirico sinfonico occidentale. Le più apprezzate erano le opere di Verdi, Puccini, Leoncavallo, Mascagni, Mozart, Wagner, Saint-Saëns, Massenet e Bizet. Il celebre e acclamato tenore drammatico armeno Sergey Danielyan, che era il mio maestro di canto, durante la sua ricchissima carriera avevo cantato più di 300 volte solo il ruolo di Radames nell’opera Aida di Giuseppe Verdi. È dimostrato il fatto che fino ad oggi tra i compositori occidentali, il più apprezzato rimane Giuseppe Verdi.
Fra i brani, alcuni dei quali davvero intensi, del programma che ci presenterai durante l’evento di maggio, quali sono quelli a cui ti senti particolarmente legata? Per quale motivo?
Abbiamo scelto le perle della musica sacra e della musica profana armena che presenteremo con le mie magnifiche colleghe Saténik Shahazizyan e Ariane Llor.
Credo che la qualità migliore di un artista sia quella di riuscire a cogliere il più profondo significato e ad amare ciò che interpreta in un certo periodo del suo percorso come artista e musicista. Io, non solo in questo caso ma in generale, mi innamoro ogni volta di una canzone, musica e di un personaggio d’opera che mi tocca interpretare, e comincio a vivere le emozioni del personaggio in questione come reale e ‘vivente’, calandomi totalmente nei suoi panni. È un’emozione importante che arricchisce la mia anima. È un dono che aiuta a scoprire ogni volta nuovamente me stessa ed è qui che, mentre faccio le mie prove del repertorio che presenteremo durante l’evento di maggio, tra tutti i brani in programma ne ho scoperto uno che mi emoziona più degli altri. È il brano sacro di un compositore sconosciuto, intitolato “Dove sei madre mia?”, aria sulla Crocifissione di Gesù Cristo. Mi commuove particolarmente come in esso Gesù Cristo, Figlio di Dio Onnipotente, necessiti e cerchi, in procinto di morire, il calore umano della propria Madre. La Quale, a Sua volta, soffre duramente alla straziante visione del proprio Figlio crocifisso, tant’è che il brano finisce con le strazianti parole:
«Sono rimasta orfana senza di te! Oh Maria e voi donne piangete con me, piangete…».
La peculiarità di questo brano sacro rispetto ad altri sul tema della Crocifissione di Gesù Cristo sta proprio in questa esaltazione della dimensione umana del figlio di Dio e della Sua Santissima Madre, laddove invece, in altre composizioni del genere, l’esaltazione della dimensione divina minimizza la dimensione fisica e psicologica del dolore.
Il tema della perdita di un figlio che sacrifica la propria vita per far vivere agli altri è molto attuale in questo periodo devastato da guerre in ogni angolo del mondo, di cui il Sacro evento della Crocefissione di Gesù Cristo è la somma ricapitolazione.